Il tempo impiegato per la comunicazione tra medico e paziente costituisce a tutti gli effetti “tempo di cura”. È uno dei principi che sottolineano la legge sul Consenso informato e le Disposizioni anticipate di trattamento, la cui importanza si è compresa soprattutto a partire dal periodo della pandemia. Sia in caso di visite in presenza, sia per verifica a distanza, una corretta comunicazione permette di stabilire una vera e propria alleanza terapeutica, nella quale i pazienti non sono più oggetto passivo del percorso terapeutico, ma soggetti attivi, capaci e responsabili di autodeterminare il proprio ruolo nel percorso di salute, sia in caso di patologie acute che di cronicità, proprio perché correttamente informati.
La cultura del paziente relativamente alla propria patologia si fonda quindi su informazioni accessibili e corrette che gli vengono fornite dal medico curante, coinvolgendo nel percorso educativo-formativo anche familiari e caregiver. Questo approccio, che si sta diffondendo negli ultimi anni, crea un forte legame medico-paziente e un ingaggio progressivo del paziente e caregiver nel percorso terapeutico, con una serie di vantaggi anche quantificabili. Infatti un gruppo di ricercatori della Stanford University, in uno studio pubblicato su Jama Network ha mostrato come la corretta comunicazione medico-paziente migliori la diagnosi, l’aderenza ai trattamenti prescritti e possa influire positivamente su alcuni esiti. In particolare è certo che il buon dialogo tra medico e paziente permette di:
- garantire l’aderenza terapeutica attraverso un rapporto franco ed efficace
- assicurare supporto in ogni fase della malattia
- fornire suggerimenti per migliorare la qualità della vita
- avere un impatto positivo sull’umore del paziente stesso.