“Si consiglia ai lettori di essere cauti nell’utilizzare i risultati qui riportati”. È l’avviso che Nature ha inserito lo scorso luglio in un lavoro pubblicato nel 2006 da Sylvain Lesné (primo autore) e Karen Asche (coordinatrice), dell’Università del Minnesota (Ums): “A specific amyloid-β protein assembly in the brain impairs memory”. Un articolo che è stato citato in circa 2300 lavori accademici, più di tutte le altre ricerche di base condotte nel campo dell’Alzheimer e pubblicate dal 2006. E che ha dato un forte input all’ipotesi secondo cui i grumi di beta-amiloide (amyloid-β, Aβ) nel tessuto cerebrale, noti come placche, sono una causa primaria della malattia. Nel lavoro in particolare Lesné e i suoi colleghi hanno scoperto un sottotipo di Aβ precedentemente sconosciuto chiamato Aβ*56, dal peso molecolare relativamente elevato rispetto ad altri oligomeri. Il gruppo lo ha isolato e iniettato in giovani ratti, mostrandone la capacità di causare demenza. Ashe pubblicizzò l’Aβ*56 sul suo sito web come “la prima sostanza mai identificata nel tessuto cerebrale nella ricerca sull’Alzheimer che ha dimostrato di causare danni alla memoria”.
“Gli editori di Nature sono stati avvisati delle preoccupazioni riguardo ad alcune delle figure in questo documento. Nature sta indagando e una risposta editoriale arriverà il prima possibile”. La prima parte della nota di Nature recita così e si riferisce a un lungo lavoro di verifica portato avanti da Matthew Schrag, neuroscienziato e medico della Vanderbilt University, che avrebbe identificato immagini apparentemente falsificate in articoli dell’Università del Minnesota e in particolare di Lesné, incluso l’articolo già citato del 2006. Nel 2021 Schrag è stato ingaggiato da due eminenti neuroscienziati per indagare su Simufilam, un farmaco sperimentale per il morbo di Alzheimer sviluppato da Cassava Sciences. I trial clinici finora condotti hanno dimostrato che la molecola può migliorare la cognizione, in parte riparando una proteina che può bloccare i depositi cerebrali della proteina beta amiloide. Il dubbio però è che alcune ricerche relative a Simufilam siano “fraudolente”.