Il Piano Nazionale per la Cronicità (PNC) compie sei anni e non li dimostra. Perché di fatto non è stato praticamente mai applicato come avrebbe dovuto. Se contiamo che ci sono voluti tre-quattro anni per farlo approvare dalle varie Regioni e che la pandemia da Covid-19 ha fatto saltare buona parte dell’assistenza sanitaria per i malati che non fossero Covid, possiamo dire che ad oggi il piano non ha mai visto davvero la luce, se non in pochi, sporadici casi.
Dopo una prima cabina di regia lanciata nel 2018, ne è stata annunciata una seconda lo scorso aprile, utile per attuare (forse) il piano e monitorarlo. Dal 2016 in poi però sul fronte cronicità sono cambiate un po’ di cose, anzi dal 2020 in poi, proprio a causa della pandemia: sono arrivati, nell’ordine, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che conferisce diverse priorità all’assistenza sanitaria, facendo passare in pole position quella territoriale, il DM 71 (anzi, 77) che definisce modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, poi è arrivato il modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare, che si inserisce nel solco delle attività per attuare la missione 6, componente 1 del PNRR, definendo il modello organizzativo per realizzare i servizi di telemedicina; da ultimo, è stato presentato il Manuale Operativo Logiche e strumenti gestionali e digitali per la presa in carico della cronicità, realizzato dagli esperti del Nucleo Tecnico Centrale del Ministero della Salute e dal team di Agenas, per il progetto PonGov Cronicità.